POLITICA: IL PESO DELLA PERSONALIZZAZIONE

Nel 2002 a Genova con alcuni amici appassionati di scienze sociali e politiche, con la prefazione del Prof. Andrea Mignone titolare della Cattedra “Partiti politici e gruppi di pressione“, diedi alle stampe un piccolo manualetto per una pronta consultazione ad uso di studenti e giornalisti, ma anche di cultori in materia, sul finanziamento pubblico ai partiti.

Andando avanti in quella mia ricerca mi resi conto che della militanza storica nei partiti iniziava a rimanerne ben poca e che le principali zone di incertezza delle varie formazioni partitiche, ovvero le zone cruciali alla vita dei partiti stessi, quali il finanziamento e il reclutamento diventavano sempre più retaggio di una coalizione dominante di stampo verticistico, slegata dall’antica liturgia tipica dei partiti novecenteschi.

Ciò mi indusse a titolare il volumetto: “La politica è una cosa da signori?“, mettendovi il punto interrogativo, nella speranza di essere smentito.

Con il nuovo sistema elettorale maggioritario, dove la figura del leader è stata confusa con quella del capo, purtroppo la politica non solo è veramente diventata una “cosa da signori“, ma anche una “cosa per pochi addetti“, con una classe politica e di governo autoreferenziale che non si cura nemmeno di nascondere le sue diatribe interne e personali dietro le quinte, ma che, addirittura, le mette in piazza nelle sedi Istituzionali più alte!!!

Ci sarebbe da rimpiangere i vecchi democristiani!!!!

Di questo parla nell’articolo che segue, Franco Astengo, anche lui un appassionato cultore delle materie politiche e sociali, e che noi con grande disponibilità vi proponiamo.

Gian Battista Cassulo

IL PESO DELLA PERSONALIZZAZIONE di FRANCO ASTENGO

Nel corso del dibattito svolto martedì 20 agosto 2019 in Senato sulla crisi di governo abbiamo assistito ad un inedito sul piano della comunicazione e dell’azione politica.

Per la prima volta in una occasione di questo tipo si è sviluppata una sorta di verifica in sede istituzionale del peso assunto da quel processo di personalizzazione della politica che ormai da diversi anni ha assunto un ruolo preminente nell’insieme dell’agire politico.

Personalizzazione che si è sviluppata parallelamente al cambiamento profondo del ruolo dei partiti.

Si sono così modificati i termini di confronto all’interno della democrazia repubblicana rispetto al tipo di regime parlamentare disegnato dalla Costituzione.

Nel corso dell’intervento del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si è sviluppato, infatti, un attacco diretto rivolto – usando tra l’altro toni direttamente colloquiali – al Vice presidente e Ministro dell’Interno, Matteo Salvini.

Un attacco evidentemente finalizzato a scindere le responsabilità dello stesso Salvini al riguardo dell’apertura della crisi rispetto a quelle assunte dal suo partito: la Lega.

Un’operazione molto raffinata volta essenzialmente a spezzare il filo che ha fin qui stretto il partito ex-nordista al suo leader.

L’obiettivo di Conte è stato quello di superare il meccanismo di identificazione tra Salvini e la Lega che ne aveva fin qui accompagnato la crescita impetuosa fatta registrare nel corso degli ultimi mesi.

Nello stesso tempo il Presidente del Consiglio (che ricordiamolo non è leader di partito) ha posto oggettivamente se stesso come contraltare diretto, rivendicando in proprio i presunti successi dell’esecutivo, e proponendosi come nuovo soggetto continuatore nel solco del meccanismo di egemonia della visione personalistica della politica.

Da Berlusconi a Renzi, da Grillo a Salvini adesso toccherebbe a Conte: questa però è ancora fantapolitica.

L’elemento sul quale gli analisti dovrebbero cercare di riflettere riguarda invece l’ingresso massiccio dello scambio personalistico diretto all’interno di un dibattito parlamentare di grande spessore istituzionale, come quello riguardante l’apertura di una crisi di governo.

Giuseppe Conte si è proposto come erede di una presunta capacità personale di imporre egemonia: questo pare essere il succo di questa giornata parlamentare molto complessa e dall’esito di assoluta incognita.

L’idea del “leader solitario” addirittura senza partito sembra rappresentare il seguito possibile dell’idea di “democrazia recitativa” ormai impostasi nel determinare la governabilità del Paese fin dal 1994, anno della berlusconiana “discesa in campo”.

Franco Astengo

Nella tabella le tappe del finanziamento pubblico ai partiti estratta dal manuale: “La politica è una cosa da signori?

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