TUGNEIN di Basaluzzo di Nina Cardaci

Da Basaluzzo Nina Di Gregorio (Nina Cardaci) ci invia questo racconto, tratto dalla raccolta “3 noci, 9 mandorle e 1 coquì“, su un personaggio del paese conosciuto e molto caro e rimasto nel ricordo dei basaluzzesi. Ve lo proponiamo qui di seguito con vero piacere

La redazione

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Appena imboccavi la strada, per andare a scuola la mattina, bastava fare un trenta metri e già ti arrivava il profumo più buono e gradevole del mondo: la fragranza del pane appena sfornato. Noi bambini eravamo tutti diretti là, tappa fondamentale e obbligatoria, prima della giornata scolastica.

Entrare nel forno era come entrare in un mondo fantastico.

Tugnein, al lavoro da parecchie ore, estraeva incessantemente micche calde e fragranti dal forno a legna, le faceva scivolare con garbo nelle ceste di giunco, suddividendole in quelle di pasta dura, le biove e le trecce, quelle grandi, le mie preferite. Da un lato teneva le ceste coi panini di pasta dura, quelli a libretto e pure le rosette.

La meraviglia più grande era però la focaccia, quella dolce e pure quella salata, ma soprattutto quella chiamata “tira e molla”, salata e particolarmente elastica e saporita. Quest’ ultima andava a ruba e a noi bambini piaceva molto. Qualche volta al mattino arrivavo che era temporaneamente finita e avrei dovuto aspettare magari un cinque minuti per avere quella che si trovava ancora a cuocere in forno ma, se ero già al limite del ritardo, dovevo prendere quello che c’era.

Allora compravo la focaccia dolce che, sebbene non mi piacesse molto, sapevo che potevo barattarla con una compagna di classe che solitamente portava un panino imbottito (a volte addirittura con la cotoletta) e avrebbe preferito la focaccia dolce che non compravano mai, perché loro il pane se lo facevano in casa e quindi non compravano mai nessun prodotto da forno.

Eravamo sempre in tanti la mattina a passare dal Tugnein e, mentre lui lavorava e sorrideva a tutti con cordialità, la moglie, velocissima e più pragmatica, serviva al banco e faceva passare noi bambini sempre davanti a tutti per darci modo di andare a scuola e non arrivare in ritardo. I clienti non protestavano anzi ci guardavano con tenerezza e simpatia.

La breve pausa nel forno prima di proseguire il cammino verso la scuola, soprattutto nella cattiva stagione, era rigenerante perché ci scaldavamo un po’. (Ricordo che all’epoca – fine anni 50 e inizio 60 – gli inverni erano molto rigidi e noi bambine non portavamo i pantaloni e neppure i collant, per cui avevamo sempre le gambe fredde e le ginocchia arrossate dal freddo e spesso i geloni ai piedi).

Per il pane ricordo che noi, la mia famiglia intendo ma come tanti altri, non pagavamo ogni volta che compravamo il pane (all’epoca se ne consumava tanto).

Funzionava così.

Andavamo con un libretto dove veniva marcato la quantità di pane comprata.

Mio padre mi aveva spiegato che lui andava a comprare la farina al mulino (il mugnaio era fratello di Tugnein e avevano accordi tra di loro). Per ogni 100 chili di farina comprati avevamo diritto a ricevere 80 chili di pane. Sul libretto Tugnein marcava Kg.80 con la data del giorno di acquisto della farina e poi, a scalare, segnava il pane man mano che lo andavamo a prendere. Quando il credito stava per finire, si provvedeva ad acquistare altra farina e così via.

Il forno del Tugnein era un punto di aggregazione importante nel paese. Anche se ci si incontrava per caso, potevi vedere persone che a volte restavano in disparte a chiacchierare e a raccontarsi, soprattutto in inverno, sennò con la bella stagione fuori dalla porta si creavano capannelli di persone che se la chiacchieravano senza guardare l’orologio.

Il giovedì pomeriggio il locale si trasformava in un posto particolarmente attraente e fascinoso ed era un tripudio di profumi invitanti.

Le donne del paese potevano andare a impastare e a cuocere nel forno a legna, a costo modesto, ciò che volevano. In tante andavano più che volentieri, si portavano gli ingredienti occorrenti da casa, a parte la farina che trovavano sul posto. Potevano utilizzare le teglie e occupare il lungo tavolone che c’era sulla sinistra dove c’era una finestra che dava sulla via.

Se entravi per comprare il pane le vedevi, di buon umore e vocianti, col grembiule e le maniche alzate, bicipiti all’opera che giravano poderosamente la frusta nei recipienti bianchi di porcellana ondulati all’esterno (i grilletti) per montare gli albumi, e impastare dolci, ciambelle, biscotti, pasticcini, crostate con le marmellate, baci di dama, e pure i biscotti della salute, con la ricetta genovese originale. Erano tante le donne che si prenotavano da un giovedì all’altro e quando si avvicinavano le feste patronali, oppure ancora di più quelle natalizie, era difficile trovare un posto dove mettersi a lavorare e quindi bisognava essere pronti a giocare di anticipo. Ai primi di dicembre già le vedevi che preparavano i dolci da portare in tavola durante le feste. E la settima prima di Natale tutti i pomeriggi il Tugnein dava loro la possibilità di usufruire del suo forno, dando come sempre consigli da esperto quale era e occupandosi personalmente della cottura dei preparati.

Le donne restavano a chiacchierare e magari a spettegolare mentre nel forno si stava compiendo la magia.

Lo spettacolo era quando la lastra metallica dell’apertura del forno veniva tolta e intravedevi, ognuna alla ricerca della sua teglia, quanto era cresciuta quella ciambella e che bel colore avevano i biscotti. La felicità era il sapere che avrebbero portato a casa cose buone e genuine per la propria famiglia, soprattutto per i bambini.

La domenica mattina succedeva qualcosa di simile, ma i protagonisti cambiavano. Non dolci e ciambelle ma arrosti, paste, verdure, arrotolati di carne, polli con patate, conigli, brasati, zucchine e peperoni ripieni, lasagne e cannelloni. Sentivi i rosmarini e le salvie che facevano da padroni.

Il più delle volte erano i ragazzi e gli uomini (tirati a lucido coi vestiti della domenica) a portare le teglie di alluminio e tegami di coccio marrone (pesanti anche vuoti) al forno per la cottura, magari prima di andare in piazza o a messa, dentro ad un grande strofinaccio a quadri bianchi e blu, che lasciavano nel forno per usarlo al ritiro, quando lo annodavano per portare a casa, come in una sporta, il pranzo caldo e invitante.

Inutile dire che Tugnein ancora una volta aveva compiuto una magia.

Con gli anni, quando il figlio Sergio convolò a nozze, arrivò nel locale la nuora Carla, una bella ragazza bionda che portò colore, allegria e gioventù e pure una novità graditissima: i grissini all’acqua, lunghi e friabili e arrotondati alle due estremità. Era un piacere entrare e incontrare il suo sorriso accogliente e la cordialità con cui serviva la clientela.

La magia continuò ancora per molti anni.

Nina Di Gregorio (Nina Cardaci)

ndgr@libero.it

One Reply to “TUGNEIN di Basaluzzo di Nina Cardaci”

  1. Non ho ricordi diretti dell’uso del “libretto”, ma i miei lo avevano “da Rachele”, negozio di commestibili a Voltri.
    Quanto al portare le proprie cose al forno, e casa ho due tegami da forno in alluminio, con una caratteristica: sul bordo sono incise le iniziali di mia nonna paterna, evidentemente per riconoscerli più facilmente

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