DOPO IL CORONAVIRUS NULLA DOVRA’ ESSERE COME PRIMA

Stiamo assistendo ad un impressionante sventolio di bandiere, dirette TV, valanghe di decreti, annunci di fondi stanziati ma non ancora erogati, e intanto la gente soffre e muore, mentre i medici e gli infermieri, spalleggiati dai volontari delle pubbliche assistenze e dalla Protezione civile fanno quel che possono fare.

È notizia di stamattina che ad Alessandria un pugno di medici di base, usufruendo di medicinali già sul mercato, sono riusciti, o ci stanno riuscendo, se preso in tempo, a contenere se non a bloccare l’aggressione del coronavirus nelle persone colpite da questo virus.

Siamo alle solite: quando i generali non ci sono, a combattere restano un pugno di soldati nelle trincee. Questo è il vero problema dl nostro Paese. Se da un lato vi sono gli eroismi, dall’altro manca una vera classe politica

E se è vero che chi governa è lo specchio dei governati, ci si accorge però che manca una vera coscienza nazionale.

Un problema questo avvertito sin dal 1861, quando qualcuno si interrogò sulla necessità, dopo l’aver conseguito l’Unità d’Italia, di “fare gli italiani”.

Cosa questa molto difficile anche perché il senso di cittadinanza attiva di chi si vorrebbe riconoscere nello Stato di appartenenza, potrebbe, come è già successo, sfociare in un demagogico nazionalismo.

Solo agendo sulla leva culturale si potrebbe aiutare il nostro Paese a superare questa sua contraddizione interna.

È una lotta questa per la vera emancipazione del nostro Paese, ma se il nemico che abbiamo di fronte è quello interno, del pressapochismo, delle clientele, delle varie furbizie, degli interessi dei pochi a danno dei molti, delle mafie grandi o piccole che siano, c’è anche il grande nemico esterno che ha tutto l’interesse a far sì che il nostro Paese, più che uno Stato, resti sempre e comunque un’espressione geografica.

Ma vi lascio qui di seguito ad una riflessione della nostra Eester Matis.

Gian Battista Cassulo

Un pettine pieno di nodi

Siamo lenti, ma ormai tutti (o quasi) abbiamo capito, in tanti abbiamo visto, in tanti abbiamo pianto, in tanti speriamo o preghiamo per qualcuno. Fanno da sfondo a questo indescrivibile disagio e dolore collettivo, recriminazioni a bizzeffe, incongruenze, assurdità e una folta manata di nodi che vengono al pettine.

Eppure nel lampante fallimento del sistema globale, di un mondo votato al maggior profitto di pochi, galleggiano ancora figure di “intoccabili” che dai loro alti posti di comando, molto lontani da noi, vogliono continuare a decidere le sorti dei popoli, quasi mai nell’interesse di questi ultimi.

Ammainate quindi gli striscioni infantili e ipocriti dell'”Andrà tutto bene“, se non altro per un po’ di rispetto verso tutti coloro ai quali non è andata, non va o non andrà affatto bene, e iniziate a pensare che nulla dopo dovrà esserepiù come prima.

Per tanto e tanto tempo, come dopo ogni choc violento, non potremo tornare a vivere come nulla fosse successo. Una cosa invece dovremo fare:

RICORDARE

Lo dobbiamo a tutti quelli che hanno sofferto, a quelli che non ce l’hanno fatta. Nessun colpo di spugna potrà cancellare esperienze come questa, né tanto meno le responsabilità. Perché le responsabilità, piaccia o no, lo si ammetta o no, ci sono eccome:

ci sono sia a monte, extranazionali, sia interne

Adesso l’abbiamo imparato che se parliamo di governi l’improvvisazione è pericolosa. Ci sarà presto bisogno di una classe politica che sappia dire no ai ricatti di oltre confine, che abbia sempre il polso della situazione, che sappia chi e che cosa sta governando, conosca bene il tessuto economico dei territori e (soprattutto nei momenti difficili) sia in grado di chiamare a raccolta aziende e produttori indispensabili alle forniture interne.

Piccoli grandi esempi attuali: – le mascherine. Oltre alle prese in giro balzate alla cronaca, abbiamo scoperto che in Italia nessuno le produceva.

Dopo settimane di contagi qualche imprenditore ha iniziato a farlo e, mentre i medici riciclavano quelle usate, ha dovuto attendere non poco che i burocrati gli dessero l’ok per distribuirle e ancora non riusciamo a coprire il fabbisogno –

I ventilatori polmonari. Mentre da Roma chiedevano l’elemosina a Cina & company per rifornirci di respiratori e apparecchiature di supporto polmonare, una ditta italiana del settore continuava ad esportare il 90% della sua produzione. A Roma nemmeno sapevano esistesse. Chiedersi perché la stessa ditta non si sia fatta avanti vista l’emergenza non sarebbe male. Sarà mica che consegnare forniture allo Stato comporta quasi sempre il rischio di perdere capra e cavoli (ovvero non essere pagati)?

Salute, economia, fiducia nello Stato: ecco il cerchio che si chiude.

Ester Matis

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