CASELLO FERROVIARIO

FERROVIE: C’ERANO UNA VOLTA I CASELLI, OVVERO QUANDO IL TRENO VIAGGIANDO NON ERA MAI SOLO

Chi è solito usare il treno sulla linea ferroviaria “Torino-Genova”, all’altezza di Ronco Scrivia potrà notare, proprio vicino ai binari e a pochi chilometri una dall’altra, delle piccole case cantoniere chiamate comunemente “caselli

La storia dei caselli inizia a partire dalla seconda metà dell’800 e nelle linee più antiche sono distanti tra loro anche meno di un chilometro in modo che potessero comunicare a vista tra loro. Erano abitazioni in dotazione, negli anni di servizio, alle famiglie del personale assunto nelle Ferrovie dello Stato, una parte del quale anche adibito a guardia e funzionamento delle sbarre che tagliavano la strada nei vari passaggi a livello. Inoltre il “casellante”, che pagava un affitto modesto per alloggiare nella struttura, aveva il compito di controllare tutta la porzione di linea di propria competenza, prevenendo così incendi che potevano scaturire dalle scintille delle locomotive a vapore, e tenendo il tratto sempre libero da piante infestanti. Successivamente, con l’avvento di una maggior tecnologia come l’introduzione del telegrafo, dei segnali elettrici e delle sbarre automatiche, la maggior parte dei caselli ha perso la loro funzione originale.

A partire dal secondo dopoguerra molti caselli sono stati abbandonati, in particolare quelli in posizioni isolate e quelli difficilmente raggiungibili. Mentre quelli in prossimità dei centri abitati sono stati spesso venduti dalla società ferroviaria e riconvertiti in abitazioni private. Erano abitazioni molto modeste, potevano essere, come diremmo oggi, unifamiliari o bifamiliari; erano organizzati su due piani, al piano terra la zona giorno e al primo piano la zona notte, e mancavano totalmente dei moderni impianti di riscaldamento, ma dotati di camino o stufe alimentate allora solo a legna o carbone.

Alcuni di questi caselli rappresentavano e rappresentano anche dei veri e propri punti di riferimento, come quello, oggi trasformato in villetta, sito in località Giretta, poco prima, spalle a Torino, di Borgo Fornari, dove c’è un fontanino al quale si fermava Fausto Coppi a dissetarsi.

Infatti molti di questi caselli sono stati “riscattati” dai ferrovieri che li avevano in consegna o acquistati da terzi e ristrutturati, alcuni però sono rimasti di proprietà delle ferrovie e adibiti a ricovero attrezzi, come i due esempi che ancora sono visibili a Ronco Scrivia (vedere foto in alto e video). Ma nella gran parte dei casi, su tutto il territorio nazionale, di questi caselli restano solo le rovine, quali silenziose testimonianze di un lontano passato e di una vita priva di comodità ma, per molti aspetti, più genuina.

Uno di questi caselli ora in preda al degrado, sotto il profilo della testimonianza (e che meriterebbe essere recuperato e trasformato in museo), è il casello posto al Km. 108 che si incontra poco prima di Serravalle Scrivia provenendo da Torino, dove nacque Cesare Pozzo, mitico macchinista delle Ferrovie, meglio conosciuto come il “ferroviere animatore dei diritti umani”, per via della sua attività sindacale, ai suoi tempi molto osteggiata, che gli procurò numerosi trasferimenti, portandolo al suicidio, quando si gettò sotto la sua locomotiva a vapore ad Udine il 15 maggio 1898.

Fausto Cavo

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