C’ERANO UNA VOLTA GLI “ABÉGHI”

Sulle tracce dell’antica economia sostenibile locale, chiacchierando con Umberto Semino appassionato di storia del territorio

Agli amanti delle escursioni nel verde capita spesso, camminando lungo i sentieri tra i boschi della nostra zona, capita non di rado di imbattersi in edifici in pietra, spesso ricoperti da vegetazione rampicante, che ricordano le antiche abitazioni rurali.

Però, se osservati meglio, ci si accorge che sono composti solo di due stanze piuttosto grandi, una al pianterreno ed una al primo piano.

Chiedendo lumi ad Umberto Semino, Vice Prefetto del Rotaract Club Gavi Libarna ed appassionato di storia locale, apprendiamo a cosa servivano.

Erano dei rustici utilizzati per un’attività molto importante per il territorio fino ai primi anni ’50 del secolo scorso, qualcuno anche oltre – ci spiega Semino – Servivano per fare essiccare le castagne. Nell’“abégu” come veniva apostrofato nel dialetto locale, veniva acceso un fuoco al piano terra, e al piano superiore, con pavimento in legno tipo soppalco, venivano poste le castagne circa 30/35 quintali alla volta, fino a toccare il soffitto. Al piano superiore vi si accedeva attraverso una botola con l’utilizzo di una scala fittizia”.

Semino continua a spiegarci che il fuoco, tenuto a fiamma costante, doveva restare acceso tutta la notte per far sì che le castagne non bruciassero.

Dopo 15 giorni le castagne venivano “girate” e quelle che erano sopra andavano sotto e viceversa. Dopo un mese erano pronte per essere battute e quindi venivano messe dentro un marchingegno che toglieva la buccia che sarebbe stata inutile.

Prima dell’avvento di questo marchingegno, la pulitura delle castagne veniva eseguita manualmente: le castagne venivano messe in sacchi e poi sbattute con forza su di un ceppo. Quando la buccia si rompeva, veniva divisa dalle castagne.

I bambini – continua Semino – spesso avevano il compito di controllare la fiamma ed in ogni essiccatoio erano presenti alcune finestrelle in alto in modo che il fumo potesse uscire”.

Una volta essiccate, si provvedeva a vendere le castagne più belle mentre le altre venivano consumate nella frugale alimentazione di allora intere o sotto forma di farina da cui si otteneva pasta, come le famose “trofie”, oppure veniva utilizzata per fare il pane ed alcuni dolci garantendo la sopravvivenza durante l’inverno al pari della polenta.

La raccolta delle castagne durava 20/30 giorni ed impiegava molte persone, spesso donne, provenienti anche da altri paesi che si recavano nelle zone di raccolta e prestavano la loro manodopera per piccoli guadagni.” conclude.

Nel Comune di Grondona, molto dedito a questa attività, venivano prodotti 2200 quintali di castagne secche all’anno e per ottenere quella quantità bisognava raccoglierne circa 7000 quintali. Un numero di tutto rispetto anche tenendo conto che una persona in media ne raccoglieva circa un quintale al giorno.

Al momento ci sono quattro essiccatoi “abéghi” visibili a Grondona, rispettivamente Costa, Apricusa, Nurtiù e Ciape.

Per i camminatori interessati vi è la possibilità di fare il “giro degli essiccatoi” con partenza e arrivo a Grondona.

Il percorso ha una lunghezza di circa 7.5 km e una durata di 3,30 h circa snodandosi sui percorsi CAI n. 280- 281-282-283. Altri sono poi visibili nei Comuni di Voltaggio, Arquata Scrivia e Gavi.

Fausto Cavo

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