FERROVIE: QUALCOSA NON TORNA

Da Stefano Ghio di Bosio (Al)a proposito dei collegamenti ferroviari, riceviamo e pubblichiamo

Spesso chi scrive viene avvicinato da chi lo conosce che gli chiede come mai tutto questo assiduo interessamento per le vicende che concernono lo stato di un bene pubblico e indispensabile quale le ferrovie.

Ammetto di essere particolarmente attratto dalla questione, per il semplice motivo di aver scelto di non possedere un mezzo di locomozione privato: una opzione che mi obbliga a concentrarmi sui servizi pubblici.

Va da sé che, viaggiando spesso fuori città se non fuori regione, il vettore più adatto sia il treno; qui arriva un’altra decisione: la tipologia di servizio di cui amo usufruire è rigorosamente quella del regionale.

Per chi pensasse male, non è solo una questione di costi – per quanto trovo assurdo pagare servizi inesistenti, o di cui per scelta (come quello di ristoro) non usufruisco – ma il viaggiare lento può essere utile per ascoltare le storie di altri passeggeri.

Ben inteso, non sono certamente interessato a farmi gli affari del vicino di sedile, ma frequentemente scopro storie interessanti su alcuni posti del Paese che possono essere interessanti per questo blog, e da lì si sviluppa una storia.

Poi però arriva l’inverno: uno strano accidente che tende a ripetersi ogni anno da sempre, ma che da qualche tempo viene utilizzato come pretesto dal gestore delle linee ferrate per cancellare o limitare l’offerta ferroviaria.

Con il pretesto che sui binari, e sulle linee aeree, si deposita la neve e si forma del ghiaccio che impedisce il regolare flusso della circolazione, la direzione di Rete Ferroviaria Italiana – la società che controlla le infrastrutture ferroviarie – cancella, o nella migliore delle ipotesi riduce sensibilmente, le tratte regionali.

Mi viene da chiedermi come facessero a viaggiare in talune condizioni su rotaia ai tempi in cui non vi era tutta la tecnologia odierna: ah già, prima del macello sociale che ha portato al drastico taglio del numero dei ferrovieri – passati in un sol colpo da duecentomila a novantamila a metà anni novanta – le cose erano ben diverse.

A quei tempi la manutenzione del materiale rotabile e delle infrastrutture era effettuata regolarmente da squadre appositamente formate che provvedevano a mantenere in efficienza le migliaia di chilometri di strade ferrate italiane.

Va da sé che successivamente all’ecatombe di lavoratori sopra menzionata le cose non potessero che peggiorare sensibilmente, con il logico deterioramento degli impianti di snevamento a causa del disuso degli stessi: semplicemente manca chi sia in grado di azionarli e mantenerli in buono stato.

Resta solo una considerazione da fare, che riguarda qualcosa che non torna nella – per utilizzare una formula cara ai vertici di Trenitalia – “rimodulazione dell’offerta commerciale” dovuta alle eccezionali condizioni atmosferiche.

Se queste non consentono il regolare transito dei convogli regionali, mi chiedo per quale ragione il traffico di media e lunga percorrenza – effettuato con materiale di categoria superiore, quindi più costoso per il viaggiatore – non venga toccato.

Stefano Ghio

QUANDO LE FERROVIE ERANO STATALI: un racconto autobiografico di Gian Battista Cassulo

Ai miei tempi c’erano gli spalatori. Venivamo davanti alla stazione di Novi Ligure e i titolari delle due ditte che avevano vinto l’appalto per la manutenzione ordinaria, li sceglievano e li assumevano pro tempore.

Io a quei tempi, parlo del 1975, ero responsabile della tratta ferroviaria da Alessandria esclusa a Ronco Scrivia esclusa e dovevo dare alcune indicazioni antinfortunistiche agli spalatori, dividerli i gruppi e assegnare ad ogni gruppo un cantoniere FS e poi, di concerto con i Sorveglianti di linea (tronchi di Novi Ligure e Arquata Scrivia) organizzare gli interventi lungo i binari, dando la priorità allo sgombero neve degli scambi e poi mantenere puliti i marciapiedi per la sicurezza viaggiatori.

Gli scambi avevano un particolare impianto di riscaldamento che permetteva il movimento degli aghi anche con il ghiaccio. Ad inizio inverno, prima delle nevicate, facevo fare, di concerto con i Sorveglianti di linea (ora detti Capi tecnici) la cosiddetta prova scambi. Quando poi nevicava, tutto era pronto e i treni viaggiavano incuranti della neve e sempre in orario.

Mi ricordo un anno, prima di essere trasferito a Savona, mi sono trovato nel Parco di Novi San Bovo per controllare l’andamento dello sgombro neve che in quell’anno fu particolarmente copiosa.

Il Parco doveva lavorare in qualsiasi condizione atmosferica. Si stavano effettuando le composizioni treni merci con il “lancio” dei vagoni dalla “parigina“, una specie di sella in pendenza che faceva prendere velocità ai carri, che venivano rallentati dagli staffisti prima di essere instradati sul binario assegnato.

Io mi ero spinto incautamente in mezzo al Parco e all’improvviso mi sono visto arrivare carri da tutte le parti. Il rumore era infernale e ci si vedeva poco perché i carri scendendo, alzavano nuvole di neve. Non sapevo dove ricoverarmi ed era questione di minuti.

Allora mi sono venute in mente le parole di un vecchio ferroviere che mi aveva dato alcuni consigli, come ad esempio entrare in galleria sempre con un bastone in mano da usare come guida strisciando contro il piedritto nel caso che la fiammella al carburo sull’elmetto si spingesse oppure aggrapparsi ad un palo della linea elettrica nel caso di perdita dell’orientamento.

 E fu quello che feci in quell’occasione, salvando la pelle!

GB Cassulo de “l’inchiostro fresco”

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