“L’OPERA NUDA” di Mauro Macario

La poesia nell’era della tecnologia e dei social media

Uscita a Ottobre 2021, in uno dei momenti più bui della storia italiana del dopoguerra, L’opera Nuda di Mauro Macario, poeta e figlio del noto attore e comico torinese, non è solo una raccolta di poesie, ma anche un lungo libro-intervistanel quale l’autore, che si è dedicato esclusivamente alla poesia dagli anni novanta dopo essere cresciuto nell’ambiente teatrale della “rivistae aver lavorato nel cinema e nel teatro, esprime come in lungo flusso di coscienza la sua visione dell’arte, della creatività e del tempo che stiamo vivendo

Uno dei temi portanti della poesia di Mauro Macario è quella della critica serrata alla società dell’algoritmo, dell’iper-razionalismo scientista e oggi anche dello spettro dell’Intelligenza Artificiale che ambisce a sostituirsi all’artista e al poeta. Un tema trattato in raccolte come Silenzio a Occidente e Alphaville, che evoca la città distopica del film di Jean Luc Godard, una città asettica e disumanizzata nella quale i sentimenti sono proibiti. Un “classico” premonitore della science-fiction distopica di oggi, che ritroviamo in film come Equals del 2016.  “Non so se sarà la poesia a salvarci. So che da Alpahaville dobbiamo tutti scappare o farci saltare in aria” afferma il poeta nell’omonima raccolta. In “Silenzio a Occidente” del 2007 Macario alterna le poesie più intimistiche e nostalgiche a invettive civili e politiche come “Teoria del conflittoestremodel 2004 caratterizzata dal mantra “pagherete caro, pagherete tutto”, Pietas, ispirata dal caso Welby, Made in Italy”nel quale l’autore prende le distanze dal suo paese che non riconosce più, “Gas Nervino” e Coma Profondo”che contiene una sorta di “invettiva” contro la “digital generation” quella che oggi chiamiamo Generazione Z. “La digital generation/ha un dio al napalm/che brucia a freddo/ogni istanza emotiva/ (…) la beat generation aveva un dio in ogni ragazzo/arcangeli animisti apparsi/sulla Madre Terra” tema che torna anche ne “Il genio del computer” Ginsberg e Carlsberg/sono una birra.

La prefazione di Anna Leone e i contenuti

Nell’interessante e accorata prefazione Anna Leone sottolinea come con L’opera nuda Macario abbia preso atto che è “venuto meno lo spazio sociale della poesia” lo spazio del linguaggio, eroso dallo scientismo e dal culto della tecnica, e il ruolo politico dell’intellettuale. Le poesie de L’Opera Nuda si muovono quindi in un ambito più privato e intimistico, tra la nostalgia di un passato che non tornerà più e il linguaggio atemporale ed eterno dell’amore, dell’erotismo, dei sentimenti. In “Mantra dell’origine amorosa” Macario canta l’aspetto “sacro” e metafisico dell’amore “L’amore devozionale/è un vangelo corporale/l’ostia sciolta in una bocca prensile/l’adepto di una setta perseguitata” un filone della sua raccolta che termina con il suggestivo “Sposalizio Taoista”. Tra nostalgia e celebrazione dell’amore è “Lancuore” caratterizzata dal suggestivo gioco di parole del titolo, mentre “Wanted”  torna per un attimo sull’estinzione “sociale” della poesia “La poesia andrebbe bandita/come atto di sanità pubblica/come screening di una minoranza deviata/come pandemia del sogno virale (….) levarsi di mezzo coloro che distillano la Bellezza con la B maiuscola”.

Cogliamo in questi versi anche una critica serrata alla “neolingua” pandemica che è diventata consuetudine proprio nei mesi di pubblicazione del libro, che l’autore riprende e rovescia nella breve poesia “erotica” Terapia Intensivadi notte respirare intubato nel tuo ventre” L’amore, il sesso, il contatto fisico e umano come “terapia intensiva” contro la società della dematerializzazione? Suggestiva anche “Deola Vecchia”, nella quale il poeta disegna la vecchiaia anonima di una ex ragazza che poteva essere una delle “ballerine di fila” del mondo della rivista raccontato nel romanzo omonimo.

L’intervista di Roberta Petacco

Nella lunga intervista a cura di Roberta Petacco, Macario spazia tra la rievocazione del mondo della rivista e della “Dolce vita” romana degli anni sessanta “Roma invitava al piacere nascosto e imprevedibile, al soddisfare ogni bisogno erotico fuori norma” e la ricostruzione della diffidenza che il mondo della cultura “ufficiale” riservava a una persona figlia di un attore comico che si era affermato in un genere considerato minore come quello della “rivista”. Un mondo che oggi è scomparso, quello della rivista, delle compagnie teatrali “vaganti” e delle “ballerine di fila”. In quegli anni, come emerge dalla ricostruzione di Macario, quel “mondo” parallelo rispetto alla società ordinaria viveva secondo regole e logiche proprie e godendo di una libertà oggi di fatto impensabile.

Interessante anche il rapporto tra Macario e le grandi metropoli italiane e non nelle quali ha abitato. Se di Roma abbiamo già accennato, e di Torino e Parigi l’autore evoca soprattutto le suggestioni letterarie e i “fantasmi” dei letterati e artisti del passato, significativo è che l’autore individui in Milano l’Alphaville italiana. Una città, che, pur vivace culturalmente ed economicamente, rappresenta il paradigma della “nuova normalità” dalle architetture come “Il bosco verticale” che rappresentano una sorta di parodia della natura autentica ammantate di retorica pseudo-ecologista ai paesaggi desolati della periferia industriale e delle “città dormitorio” dell’hinterland. Per l’autore la città appare come un “villaggio ideato da intelligenze artificiali” un “obitorio produttivo” ed effettivamente, i comuni “dormitorio” dell’hinterland milanese sembrano un altro pianeta rispetto, ad esempio, ai paesi della provincia profonda che dista non oltre un centinaio di chilometri, quelli della Val Tidone, della Val Staffora o del tortonese. E oggi, Milano è il paradigma della “città smart” che non sembrava tanto diversa dall’Alphaville di Godard.

Il finale dell’intervista è intriso di un pessimismo radicale. Se nel film di Godard una poesia di Eluard riattiva i sentimenti e l’umanità dormiente degli abitanti, come in altri film distopici, per Macario oggi la cultura umanistica è un simulacro già morto, un residuo apparente destinato a essere ucciso dall’Intelligenza Artificiale e dai rapporti esclusivamente “mercantili” tra le persone. L’umanesimo e l’arte andranno a spegnersi del tutto per aprirsi a un mondo definitivamente tecnocratico. Un pessimismo totale, che appariva già premonitore in Silenzio ad Occidente, e che riguarda sia la struttura sociale che le generazioni che nel mondo tecnocratico sono state “allevate” in primis la cosiddetta “Generazione Z”.

Intelligenza artificiale e creatività, arte e poesia

È difficile, per concludere, dire se questo pessimismo radicale sia solo realismo o se sia caricato dalla nostalgia per il mondo radicalmente diverso, nel quale le utopie “positive” come quella delle Beat Generation erano ancora possibili e la cappa soffocante del controllo tecnologico era inferiore, anche se per molti aspetti anche quella società non era affatto libera. Chi scrive appartiene alla generazione intermedia che ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza tra fine anni Ottanta e novanta: di certo c’è un salto generazionale nella percezione del mondo e della realtà tra chi è nato dopo la metà degli anni Settanta e chi è nato prima.

 L’Intelligenza Artificiale e la tecnica uccideranno l’arte, la creatività, la poesia? Probabilmente no, alcuni mesi fa un giornalista e blogger piemontese ha dimostrato che alcuni articoli sulla storia locale scritti dall’intelligenza artificiale erano facilmente riconoscibili, poveri di contenuti e brutti. Dopo che abbiamo vissuto in una società gelida e asettica per quasi tre anni, dal 2020 a metà del 2022, sembra che la necessità di arte, bellezza e poesia sia di rimbalzo cresciuta invece che estinguersi e che la guerra che è stata condotta contro la “vita in presenza” è stata persa, almeno per ora. Le nuove generazioni, spesso non comprese a causa di questo “salto generazionale” tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, hanno dimostrato di saper iniettare l’arte e la poesia in mezzi di comunicazione apparentemente freddi come il web e i social media: dalla cosiddetta “insta poetry” all’arte digitale, la creatività umana resta pur sempre protagonista. Quello che in effetti sembra evaporare è il ruolo politico e sociale dell’intellettuale; ma forse, il “riscatto dell’umanità” raccontato da Godard è ancora possibile.

                                               Andrea Macciò

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *