UOMO E NATURA, IL G20 DI ROMA E L’UNGUMANO DI LERMA

Perché la leggenda del paesino di Moana Pozzi la dice lunga sul nostro rapporto con l’ambiente

Ridurre l’impatto della crisi climatica, favorire la transizione ecologica e diminuire le emissioni di gas serra. Questi alcuni dei temi del G20, l’incontro dei rappresentanti delle maggiori economie del pianeta, ospitato il 30 – 31 ottobre 2021 a Roma

E, se è vero che la questione ambientale è diventata delicata nella modernità per il modello di sviluppo scelto, non è vero che fosse assente nel passato. Ce ne parla il nostro inviato, Matteo Clerici, sempre a caccia di leggende e antiche storie dell’Oltregiogo genovese, nelle impervie valli degli appennini a cavallo tra Liguria e Piemonte. Oggi ci presenta la leggenda dell’Ugumano di Lerma, legandola all’atualità del dibattito politico sull’ambiente – La redazione

LA STORIA DELL’UOMO CINGHIALE

Lerma, 875 abitanti in provincia di Alessandria, è un gruppo di case sulle sponde del torrente Piota. L’abitato è dominato da un castello costruito dal casato Spinola, struttura fortificata le cui mura si affacciano su uno strapiombo, vicine alle rive del corso d’acqua ed ai boschi circostante. Per i cittadini, proprio la rocca e la sua prossimità sono il territorio dell’uomo cinghiale di Lerma. Creatura del corpo umano ma dalla testa di cinghiale, è un carnivoro aggressivo e territoriale, che costringe i cittadini ad una particolare simbiosi.

LA LEGGENDA

Dal Medioevo, tutti gli abitanti salgono in cima alla rocca e gettano brutti pensieri, angosce e peccati giù dal dirupo, per nutrire il mostro. Qualcuno si spinge ancora oltre, cucinando per l’uomo cinghiale un pane speciale, chiamato proprio Panungu. Tali comportamenti rendono docile la creatura, che non solo lascerebbe in pace il paesino, ma agirebbe come suo difensore: ci sono infatti dei racconti in cui l’ungumano avrebbe protetto Lerma, predando briganti e soldati invasori. Se però viene trascurato, l’ungumano torna a colpire senza distinzione.

LE SUGGESTIONI E LA LETTERATURA

Gli anziani lermesi ricordano ancora come, durante un periodo di magra, la bestia si fosse spinta vicino alle case, catturando e sbranando un bambino. O come, negli Anni Novanta, una ragazza che faceva il bagno fosse sfuggita con fatica ad un’aggressione. Un corpo di leggende e tradizioni popolari, che hanno generato almeno un’opera letteraria, “Il pane del boia – e il mistero della rocca di Lerma”, di Marco Marengo. Un nucleo di sapere della tradizione, più semplicemente, il rapporto tra Lerma ed il suo mostro è il rapporto, o almeno uno dei tanti, tra uomo e natura.

LA FUNZIONE SOCIALE DEL MOSTRO

Il mostro è benevolo e svolge una funzione sociale, perché consuma ed elimina pensieri e sentimenti negativi, impedendo che contagino la comunità. Attacca inoltre gli invasori, fungendo da barriera tra le persone ed il mondo (il bosco, ma anche l’Altro) sempre pronto all’ostilità. È anche potenzialmente maligno e mai completamente domato: deve essere placato con offerte rituali e può sempre predare gli umani.

Una visione della natura come madre che può diventare matrigna, pronta ad offerte generose se rispettata ma altrettanto veloce nell’avanzare richieste esose.  Un qualcosa che necessita una gestione curata e precisa.

Forse, nonostante i secoli di distanza, gli abitanti di Lerma hanno qualcosa in comune (e magari da insegnare) ai grandi della Terra di oggi

Matteo Clerici

A titolo di completezza dell’informazione alleghiamo il video realizzato da Marco Marengo, autore del libro “Il pane del boia – e il mistero della rocca di Lerma”

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